Oltretutto è in questo
periodo che si imponeva all’attenzione generale
l’attività artistico-culturale dell’Associazione
“Amatori d’Arte” con l’elezione a Presidente del
Sodalizio di Elia Franich. In quegli anni, oh
come sembrano lontani, si affermava sempre di
più la “mostra d’arte moderna”, che vedeva, tra
gli altri, la partecipazione di artisti
quali il Trifance, il Pagliano, il Flora, il Nocera.
Dongiovanni, seppur non addottorato, faceva parlare
di sé per il talento di compositore e musicista.
La sua produzione pentagrammale, infatti, ha dell’inverosimile,
avendo composto una gran quantità di marce, polke,
mazurke, inni sacri, inni patriottici, preghiere,
trascrizioni di opere liriche per chitarra e mandolino.
La sua unicità però sta nel fatto che “Mesciu
Alfredu”, come affettuosamente viene ricordato,
era un autodidatta. Perché lui infatti di professione
faceva il barbiere, in via D’Elia, dove oggi ha
sede il Banco di Napoli. In quel periodo il barbiere
era il “factotum della città”. E Dongiovanni lo
esercitava in modo eccellente. A sentir parlare
di lui si ha la sensazione che come cerusico era
un portento. Il “nostro barbiere artista” aveva
elaborato una lozione, (la ricetta però è andata
smarrita) che spalmata sulle macchie della pelle
(volgarmente chiamate “paddiscene”) le faceva
sparire. Neanche la caduta dei capelli per lui
aveva segreti. Miscelando alcune sostanze era
riuscito a curare l’alopecia. La figlia Tetta,
ancora vivente, avuta dalla moglie Argia Biasco,
figlia di Francesco Biasco costruttore del teatro
Eldorado, oggi Teatro Schipa, confida che il suo
papà, con il fischio della bocca, ammaestrava
alcune coppie di canarini. Questi uscivano dalla
gabbia all’apertura del salone e rientravano all’ora
della chiusura.
Ma a noi è l’artista che interessa. Ed ecco che
spontanea e fruttuosa nasceva un’intesa tra Alfredo
Dongiovanni e i poeti dell’epoca. Principalmente
con Elia Franich e Agostino Cataldi. Quest’ultimo
era considerato “il poeta di tutte le cerimonie
cittadine” e del quale, il maestro, musicò tra
l’altro, Danza di bambole, Viva il Lavoro, Viva
il Re. Del Franich, Dongiovanni compose il “Testamento
dell’Eroe” e venne eseguito per la prima volta
il 24 maggio 1924 in occasione dell’inaugurazione
del monumento ai caduti di Gallipoli e “col quale
si meritò – scriveva il giornalista U. M. su “La
Provincia di Lecce – lusinghiere congratulazioni
di S.M. il Re, di S.M. la Regina Madre e alte
personalità politiche e militari; di S.E. Mussolini,
di S.E. Diaz, di S.E. Tahon De Revel, del Comandante
del Corpo d’Armata di Bari Generale Montanari,
dell’On Postiglione”. Il giorno dopo lo stesso
articolista scrive “Il Dongiovanni, un giovane
sorto, da modestissimi natali, sviluppando il
proprio impegno naturale, ha raggiunto un
grado notevole di inspirazione e di tecnica nella
difficile arte dei suoni, che davvero riesce degno
di lode il non comune esempio”. Dongiovanni musicò
anche composizioni poetiche di altri autori, tra
questi il professore Ettore Perrella, meglio conosciuto,
con lo pseudonimo “EPEA”. In occasione della festa
di chiusura dell’anno scolastico del 1923, e precisamente
il 29 giugno,veniva eseguito, nel teatro Schipa
il canto patriottico, “La Bandiera” scritto e
messo in scena dallo stesso Perrella e musicato
da Dongiovanni, che “non poche prove di sentito
senso musicale ha dato e dà tuttavia riscuotendo
sempre massimi consensi”. Il nostro compositore
sicuramente ci tiene all’amicizia e alla stima
dei suoi “colleghi” artisti tanto che cura in
modo particolare l’intesa con i maestri
musicisti Gino Metti, Cosimo Pindinelli e Raffaele
De Somma,autore questi di numerose e pregevoli
opere liriche e marce sacre. Nel 1921 infatti
a suggello della collaborazione tra il Dongiovanni
e il De Somma, veniva eseguita per la prima volta
e diretta da quest’ultimo,”Pace Europea”, uno
dei primi lavori del nostro compositore
autodidatta. L’esecuzione della marcia avvenuta
nel teatro sociale di Brescia, “avvinse gli spettatori
raccogliendo frenetici ripetuti applausi”.
Ad Alfredo Dongiovanni però non mancava l’ispirazione
poetica. Essa traspare in tutta la sua delicatezza
e incisività dalle poche righe autografe poste
sulla cartella delle sue memorie, a”….modesto
ricordo del mio ideale che adolescente caldeggiai,
mentre l’armonia arcana delle note, mi cingeva
l’anima di un’onda di tenerezza, carezzandomi
lo spirito, adornando la mia memoria di un’aureola
di luce soave come visione d’amore…” firmato Alfredo
Dongiovanni. Un Artista con la A maiuscola, che
oltre ad essere un fertile e originale compositore
era anche un valentissimo suonatore. Un attestato
di stima, di quelli che ti marchiano, lo ricevette
dal grande baritono Tito Gobbi, giunto a Gallipoli
per un concerto. “Lei maestro ha del talento”
sentenziò Gobbi, dopo averlo ascoltato in una
esibizione al mandolino, nel “salone”, recatosi
lì per farsi tagliare i capelli. La musica Dongiovanni
ce l’aveva nel sangue e tra un’insaponatura e
l’altra dava un saggio del suo talento assieme
ai suoi allievi, tra questi don Pippi Leopizzi,
esibendosi in veri e propri concerti. Ed appunto
su “La Provincia di Lecce” del 18 marzo 1921 l’articolista
scriveva “Il Dongiovanni suona anche deliziosamente.
– Per inciso và detto che gli strumenti(chitarra
e mandolino) li ordinava direttamente a Santa
Venerina in provincia di Catania, con le caratteristiche
che lui stesso indicava nelle ordinazioni. – Nella
chitarra solista – continua il giornalista – è
così specializzato e perfetto da far confondere
il suo magico strumento con una vera e propria
orchestra. Suona anche con grazia squisita un
altro strumento non comune: il sistro (da lui
stesso costruito con pezzi di vetro al posto delle
lamine metalliche e che faceva vibrare con dei
bastoncini) pel quale ha composto un ricco e difficile
repertorio con riproduzione di opere, le cui melodie
affascinano il pubblico. Del genio e della valentia
di questo nostro valoroso conterraneo, che sintetizza
quanto di più elevato e nobile racchiude l’arte
bella, è da augurarsi il miglior successo, e noi
siamo lieti di additarlo all’unanime ammirazione”.
E’ però il 22 gennaio del 1948 alle 13,13 che
Alfredo Dongiovanni assurge alla notorietà nazionale
.Una sua marcia, “Italia Nuova”, composta nel
1946 ed ispirata probabilmente dalla svolta
politico-costituzionale avvenuta in Italia con
l’avvento della Repubblica, viene mandata in onda
dalla radio,allora EIAR, come sigla d’apertura
di un programma radiofonico, che verrà replicato
per cinque anni. L’evento stimola la fantasia
di taluni suoi amici, che per esiguità di tempo
non è stato possibile ancora individuare, tanto
da dedicargli una poesia. “…. Mesciaffretu maluratu,
intra la ratiu sa ficcatu! Arripete cchiù ddavanda,
intra la ratiu c’è la banda” recita infatti una
strofa.
Per moltissimi anni questo, se vogliamo stravagante
ma allo stesso tempo straordinario artista gallipolino,
è rimasto nell’oblio. Noi siamo lieti di
“additarlo all’unanime ammirazione” ritenendo
che meriti di essere riscoperto, principalmente
perché rappresenta un patrimonio della nostra
città. |